Red thread
5-18 febbraio 2023
Intervista agli artisti
Cos’è l’amore? Febbraio irrompe col suo vento gelido che spalanca le porte della nostra galleria e ci pone anche quest’anno la stessa domanda a cui poeti ed artisti cercano di rispondere da secoli. Dunque, cos’è l’amore? Difficile dirlo, ma si può partire chiedendoci “Come rappresenteremmo l’amore?” e cercare di unire le risposte con un filo rosso. Lo abbiamo fatto con alcuni degli artisti che hanno partecipato a “Red thread”, l’annuale mostra dedicata al tema da Up Urban Prospective Factory: opere in piccolo formato che si raccontano per noi assieme ai loro creatori.
Cipstrega
Ciao Cipstrega! Ci racconteresti da dov’è partito il tuo percorso?
Ciao, Certamente! Sono Martina De Maina in arte Cipstrega, nome composto da Cips, il mio tag e Strega, elemento aggiuntosi col tempo. Classe ‘88, romana, ho iniziato ad avvicinarmi alla calligrafia circa quindici anni fa attraverso i graffiti che mi hanno fatto scoprire l’amore per le lettere. In seguito mi sono avvicinata alla calligrafia propriamente detta, l’arte della bella scrittura: mi incantava il gesto che la mano compie per creare una lettera perfetta e lo studio che c’è dietro. Ho iniziato come autodidatta, studiando attraverso dei video su YouTube seguendo i quali cercavo di riprodurre le lettere, poi ho frequentato dei corsi specifici erogati dall’ACI, Associazione Calligrafica Italiana. Successivamente ho approfondito scegliendo direttamente i maestri con cui studiare, passaggio a mio parere fondamentale per un artista affinché possa scoprire e costruire il proprio linguaggio.
Hai delle influenze in particolare?
Sì, la mia influenza artistica più grande è la corrente artistica dei Calligraffiti, linguaggio che unisce calligrafia a graffitismo di cui Niels Shoe Meulman è l’iniziatore e il principale esponente. Ne è nato un movimento vero e proprio che ad oggi comprende molti artisti. Per realizzare graffiti calligrafici si usano spesso, oltre agli spray, strumenti inusuali come scope, pennelli grandissimi, pezzi di legno intinti nella vernice oltre ai classici strumenti della calligrafia come ad esempio il pennino a punta fine.
Quali sono le difficoltà che si incontrano nel passare dalla carta al muro?
La calligrafia si studia su carta e l’impostazione adottata è quella classica, che prevede l’adozione di una postura corretta, del corpo come della mano, e una precisa impugnatura del pennino. Riportare sul muro tale scrittura comporta innanzitutto il misurarsi con un altro supporto, verticale per giunta, e di grandi dimensioni. All’inizio è spiazzante, ci vuole pratica per imparare a padroneggiare la tecnica, ma il risultato è davvero gratificante.
Dulcis in fundo: come hai rappresentato l’amore?
Ho interpretato il tema dell’amore intendendolo innanzitutto come amore per sé stessi, in questo caso per me stessa. Ho voluto valorizzare la persona e la cura per la persona. C’è ovviamente la calligrafia e dunque il richiamo al mio amore per essa. In una delle due opere è raffigurata la metà di un viso con delle calligrafie astratte e ciò a significare per me che c’è sempre la mia arte che anche nei momenti bui mi porta a stare bene, mi dà serenità.
Marco Rea
Ciao Marco! Ci parleresti della tua arte?
Ciao, sì! Sono Marco Rea, artista e street artist attivo da ormai quasi vent’anni. Le mie influenze sono varie, spaziano dal mondo della pittura – penso a nomi come Egon Schiele o Francis Bacon – al mondo del fumetto, alla musica e ovviamente alla street art. Io vengo dal mondo dei graffiti, a cui mi dedicavo in parallelo mentre studiavo Arte, dunque ho coltivato nello stesso tempo la strada e l’accademia. Ho frequentato il liceo artistico e la Scuola Romana dei Fumetti a Roma, poi presso l’Università di Tor Vergata mi sono laureato in Storia dell’arte contemporanea con una tesi sull’illegalità nell’arte contemporanea e ciò mi ha portato a interfacciarmi con la storia di artisti che hanno avuto problemi con la legge.
L’opera che hai proposto per “Red thread” come affronta il tema dell’amore?
Solitamente realizzo figure singole, mentre nell’opera presentata oggi ho ritratto una figura doppia. Mi piace che non ci sia una vera e propria spiegazione all’opera, vorrei che chiunque la guardi trovi la sua interpretazione personale: le figure protagoniste possono essere lette come due uomini, due donne, un uomo e una donna e non solo, l’osservatore può riconoscervi quello che vuole. La tecnica è mista, si tratta di un disegno con pennarello, matite e chine tracciato su carta realizzata a mano. C’è un certo minimalismo del tratto e il richiamo al colore rosso, come la mostra odierna ci invitava a fare, per omaggiare il tema dell’amore.
È un’opera che rientra nel tuo linguaggio abituale?
Solitamente realizzo stencil. Si può affermare che faccio sempre figurativo, ma sono costantemente in bilico tra immagini definite ed elementi astratti che da sempre aggiungo alla figura umana. Quando facevo graffiti prediligevo il lettering, avevo iniziato nel ‘96 e per una decina d’anni ho portato avanti questo linguaggio.
E come hanno influenzato la tua espressione artistica i graffiti?
I graffiti hanno influenzato la mia arte nell’utilizzo degli spray e nella creazione di opere in strada che tuttora realizzo con spray e stencil. Più in generale, devo al lettering l’avvicinamento al mondo dell’arte urbana e dell’underground. Credo molto nell’aprirsi alla conoscenza di altri artisti per trarre ispirazioni, oltre che per cultura personale, penso alle lezioni di Sten e Lex, 108, e in generale a quelle dei vari movimenti della street art in generale.
Giulia Brancoli
Ciao Giulia! Ci racconteresti come nascono le tue creazioni?
Ciao, certamente! Sono nata a Livorno e la mia formazione artistica è iniziata a Milano, dove ho frequentato una scuola per orafi a partire dai miei diciannove anni. La mia arte viene da un’emozione tramutata attraverso l’esperienza emotiva derivante dall’incontro col mare: tutto ciò che rappresento nasce dalla intima convinzione che ogni artista debba esternare mediante la materia tutte le emozioni che prova. Io le plasmo nella cera, modellandola la faccio diventare gioiello: la mia esternazione è una scultura. Le creazioni che produco sono state spesso definite poesie: non è un’associazione casuale, mi rifaccio molto alla mitologia e alla storia e trasporto nei miei gioielli ciò che di questi mondi mi affascina. Mi piace che i miei gioielli possano raccontare una storia.
Grazie davvero! Mi hai fatto venire in mente la tecnica giapponese del “Kintsugi”, il riempire le crepe con l’oro.
Esattamente, il principio ideale alla base è lo stesso: non a caso in questa mostra ho portato in due tematiche attinte dal mondo giapponese: il filo rosso, richiamo al tema dell’esposizione, e l’onda, che è un’emozione. Cerco di trasformare l’astratto, l’emozione, nel concreto.
Quali colori prediligi?
Lavoro molto il bronzo, materiale che mi rappresenta perché ha il colore della terra, un colore caldo essenziale per me che amo il calore, e che richiama il sole. Anche riguardo alle pietre cerco colori caldi, difficilmente ricorro alle tonalità fredde, e il tema dell’amore si sposa bene con questa scelta. Il blu è l’unico colore che sembra esulare da tale selezione, ma c’è una ragione: è freddo ma richiama il mare che, come accennato prima, ricopre un’importanza fondamentale nella mia poetica, il solo vederlo infonde in me serenità.
Francesca Mariani
Ciao Francesca! Ci racconteresti come realizzi le tue opere?
Ciao! Lavoro principalmente usando caffè, china ed elementi botanici veri: amo la natura e nel mio stile uso diversi elementi di essa dipingendo spesso su spartiti e vecchie carte. Inoltre, inserisco le mie opere in cornici d’epoca: mi piace che esse siano portatrici di una narrazione e che per realizzarle reinterpreti elementi già esistenti in un modo poetico e personale. Si crea così un ponte tra le persone: io racconto qualcosa della mia emotività e ciò scatena un viaggio interiore nell’animo degli osservatori, è la magia dell’arte che mi sorprende di continuo e rende ogni mia opera nuova, sia per me che per gli altri.
Da dove parte il tuo percorso artistico?
Il mio viaggio inizia da una pluralità di esperienza: ho studiato Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, sono un’antropologa e non un’accademica. I miei studi mi hanno permesso di interpretare l’arte senza dipendere da schemi ma culturalmente fondato: mi piace raccontare di queste mie radici letterarie perché mi hanno portato a creare un mio stile libero e spontaneo ma al contempo ricco di significati. Successivamente ho frequentato l’Officina B5, la scuola di illustrazione di Trastevere, non appena laureata, per consolidare le tecniche apprese da autodidatta. Amo il mondo parigino di inizio Novecento, la pittura di Schiele e Chagall, ma anche illustratori contemporanei come Daniel Egneus, che adotta anche lui il linguaggio della china. Il mio stile contempla anche l’uso di fiori e foglie e racconta molto di me, ragion per cui si distingue come molto personale.
E sull’amore cosa ci racconti?
Per “Red thread” ho presentato “Kokoro” che in giapponese vuol dire “cuore”: la figura femminile lo tesse e vi escono il ginkgo biloba, simbolo di resistenza e rinascita, e l’acero giapponese. C’è questo richiamo al mondo giapponese e al fare fiorire, tessere l’amore, all’aver cura della natura. Fondamentale è anche l’amore per la musica, che ci attraversa e ci sensibilizza al mondo, richiamato dal fatto che l’opera è realizzata su uno spartito. L’altra opera che ho esposto si intitola “Abbi cura, raffigura tre donne che si intrecciano i capelli curandosi una con l’altra: rappresentano le varie generazioni, ad ispirarmi è stata una fotografia che ho avuto occasione di vedere e che ricordava la celebre opera di Klimt. Le tre figure sono su una città immaginaria che è quella che ciascuno di noi attraversa. Il ginkgo che emerge dalla donna più grande rinasce nella piccola come simbolo di circolarità. A concludere ci sono tre ibridi, cioè stampa che io ho personalizzato rendendole uniche e ponendole in cornici antiche: ho cercato di sviscerare il tema dell’amore rappresentandolo in varie sue declinazioni. La china e i pigmenti naturali sono sempre presenti in tutte le opere, così come il filo rosso, elemento distintivo della mostra.
Paolo Gojo
Ciao Paolo! Partiamo da una presentazione di te e della tua arte.
Ciao! Sono Palo Gojo, classe ‘84, realizzo principalmente disegni sui muri e graffiti. Ho frequentato il liceo artistico e mi sono laureato in Architettura, ma ho coltivato la mia passione lavorando anche molto da autodidatta. Le mie opere si ispirano al genius loci, lo spirito che per i latini abitava i luoghi, dunque tratto essenzialmente temi tratti dalla mitologia e in particolare dai miti connessi ai luoghi. Questa passione per la mitologia classica è nata in me da un sentimento di non totale appagamento che provavo in passavo mentre dipingevo per strada: mi trovai a riflettere sul fatto che uno stesso disegno può trovarsi su qualunque muro nel mondo ma se l’artista si interessa alla storia del luogo in cui e su cui dipinge ecco che il gioco cambia. In questo caso non si sta appropriando dei luoghi su cui opera ma sceglie di lasciare in un luogo ben preciso qualcosa, un’opera d’arte che lo valorizza: interessandosi alla sua storia, non sovrasta il luogo ma lo arricchisce, fa sì che l’arte si integri con la sua storia.
Quali tecniche preferisci adoperare?
Nel realizzare quadri mi piace muovermi con la stessa libertà che sperimento sui muri, dunque passando dallo spray, alla pittura al quarzo da esterni anche se sto lavorando su tela e unendo ciò che ho a portata di mano. L’importante è che l’opera prenda forma e che tutte le sue parti abbiano la stessa durata in termini di resistenza al tempo, che non siano cioè materiali che deperiscano prima di altri. Anche gli stickers che realizzo, in 3D con l’uniposca, sono pensati affinché resistano al tempo.
Come hai pensato di rapportarti al tema dell’amore?
Per l’edizione dello scorso anno di “Red thread” ho realizzato quattro disegni che ritraevano episodi di amore romantico della mitologia classica, cosa assai rara anche se non sembra essendo il più delle volte quello dei miti greci e romani un amore violento e costretto, imposto o predestinato. Quest’anno ho realizzato due coniglietti come quelli che avevo realizzato in occasione del Capodanno cinese e che la curatrice mi ha confermato essere stati molto apprezzati. Ad essi ho aggiunto la raffigurazione della dea dell’amore e della fecondità sumera, Inanna, che diventerà nel corso della storia Ishtar, Astarte, Afrodite e poi Venere, dunque la dea dell’amore per antonomasia da cui discendono buona parte delle dee dell’amore delle tradizioni non solo greche e semitiche ma in generale indoeuropee.
Matteo Brogi
Ciao Matteo, ci racconteresti quali esperienze hanno formato il tuo percorso artistico?
Ciao, volentieri! Mi sono formato artisticamente come autodidatta: a differenza del mio amico Paolo [Gojo] ho frequentato il liceo classico, il Visconti di Roma. A sedici anni avrei voluto cambiare percorso di studi, cosa che poi non feci, perché già dagli undici anni avevo iniziato a fare graffiti, attività che ho ripreso a sedici anni proprio grazie a Gojo, che era in classe con mio fratello, e portato avanti con costanza. Ho scelto dopo il diploma di studiare grafica, mondo dove il disegno, tradizionalmente inteso, oggi non esiste più come prima: gli ultimi quindici anni hanno visto l’affermazione del computer, dunque ho avuto l’occasione di frequentare pochi corsi di disegno, linguaggio che ho coltivato per conto mio fin dal liceo riproducendo le immagini riportate sulle pagine di giornale, ho ritratto circa trenta-quaranta volte Roberto Carlino di Immobildream! Dunque sono un autodidatta per quanto riguarda il disegno. La grafica ovviamente mi ha dato vari strumenti ma cerco da sempre di tenere separati il mio percorso artistico-illustrativo dal lavoro, ciò affinché sia libero di sviluppare il mio percorso. Ho fatto negli anni muri, sulla scorta della formazione da writer, in maniera quasi assidua dai sedici ai venticinque anni, ma non ho mai praticato molto il lettering quanto il figurativo. Di fatto, ho imparato a disegnare disegnando, a coltivare questa mia passione. Ad un certo punto ho smesso col graffitismo e verso i venticinque anni ho intrapreso il percorso che tuttora porto avanti, quello di animali antropomorfi che uso per rappresentare scene spesso comiche e buffe.
Da che punto di vista hai scelto di analizzare il tema dell’amore?
Per questa mostra ho scelto di rappresentare l’amore per un luogo, la propria appartenenza: ho ritratto un corallo che rappresenta la casa, il luogo di appartenenza, che dei pesci, metafora degli esseri umani, vogliono lasciare ma che sono a metà dell’atto. Spicca un cavalluccio marino che sta per riuscirci ma rimane legato a tale corallo che ha, tra l’altro, la forma di un cuore. Il supporto da me scelto è la carta ma in generale uso qualunque cosa. Per l’opera appena descritta ho utilizzato uniposca, pantoni, pennini, matite. Non ho una formazione accademica e ciò lascia estrema libertà espressiva al mio impulso artistico. Voglio tenere lontani i ragionamenti dal mio operato, li riservo al mio lavoro da grafico che è creativo ma al contempo incardinato in piani, progetti, briefing. Le idee spesso vengono estemporaneamente senza una ricerca preliminare e in ciò sicuramente il mio lavoro è influente, perciò voglio separare le due sfere per continuare a sentirmi creativo.
Il tuo linguaggio si è evoluto nel tempo?
Sì, è cambiato in parte soprattutto dal punto di vista della scelta dei soggetti: ero partito dieci anni fa col raffigurare animali antropomorfi, adesso non per forza i miei animali sono antropomorfi, ma rappresentano sempre l’essere umano o sono pretesto e metafora per creare paesaggi. Anche la tecnica, a ben pensarci, è cambiata: prima mi orientavo su qualcosa di più istintivo come composizioni di carattere impressionista, realizzate attraverso macchie di colore. L’opera presentata oggi è invece molto vicina al minimalismo. Mi piace variare, come vari sono l’impulso estemporaneo, la sensazione del momento creativo e gli strumenti a mia disposizione nel preciso istante in cui dipingo.
Beniamino Leone
Ciao Beniamino! Cosa puoi raccontarci a proposito della tua arte?
Ciao! Io faccio opere realiste ma nelle quali si possono ravvisare tratti di surrealismo. Ho iniziato come writer, dunque dipingevo sui muri: ho iniziato nel 1997-1998, realizzando sempre opere di carattere figurativo che ho portato avanti anche su tela. Ultimamente ho sperimentato anche altre tecniche: l’uso della penna biro, specie su carta, acquerelli, pittura ad olio che sto perfezionando da autodidatta. Ho realizzato una serie di spray su tela che ritraggono volti di donne, in formato grande (1m x 1m, 80cm x 80cm) aventi fiori negli occhi. È un figurativo con tratti pop ma crudo e a tratti tragico. Il fiore è un elemento che richiama la vitae ma al contempo inganna. Il pubblico vede l’opera e si interroga sul suo significato: a mio parere l’opera deve essere aperta, se è chiusa diventa comunicazione, pubblicità. Oggi va molto l’arte chiusa, vicina alla comunicazione, al logo, basti pensare alla M maiuscola che richiama subito il McDonald’s. Non mi piace legare un’opera ad un solo tema, ad un preciso momento, ad un pubblico mirato: l’opera deve avere un impatto aperto, non limitare il pensiero.
Riguardo al colore degli sfondi e al tema dell’amore cosa ci dici?
Il colore che scelgo per gli sfondi vuole rompere il muro: adopero la carta colorata, ad esempio abbino il tratto della penna biro rossa su carta color crema, è una soluzione che abbatte il contrasto col sottofondo ma è un gioco ad inganno: abbattere il contrasto col sottofondo rende più truce l’insieme del disegno, è un contrasto meno forte del bianco e nero ma proprio perché più lieve inganna, facendo risaltare il contenuto più tragico. In questo contesto ho inserito la tematica amorosa: nell’opera presentata oggi, la sorpresa finale è il cuore che viene regalato in una scena in cui il personaggio femminile non si rende ben conto di ciò che accade. L’idea di sospensione coinvolge anche lo spettatore.
Quali sono le tue influenze e come si è evoluto il tu stile?
Mi piace il linguaggio della Secessione viennese, Klimt ad esempio, per citare uno dei nomi più noti. Ho realizzato sempre volti che riempivano la tela, prima soggetti senza sfondi, poi ho iniziato ad aggiungere lo sfondo e il lavoro sull’opera è diventato più complesso. Riempire e gestire gli spazi, scegliere come trattare il soggetto sono riflessioni sull’opera che comportano una pianificazione: è uno studio che approfondisco con piacere ma facendo attenzione a non far prevalere la costruzione sull’impulso artistico.
Dunque sei sempre stato legato al figurativo, fin dal tempo del writing: ci racconteresti qualcos’altro dei tuoi inizi dell’underground?
Sì, già allora realizzavo figurativo. Paolo Gojo, collega e artista, l’ho conosciuto su Fulleffect, precursore di Facebook per artisti afferrenti al mondo dell’hip hop. Io sono pugliese, di Brindisi e quando sono venuto a Roma per studiare ci siamo incontrati. Mi attrae ancora oggi come allora l’introspezione e dipingo ancora sui muri. Un lavoro che ricordo con piacere è quello nei pressi di Santa Maria della Pietà, l’immagine di una donna col teschio è il soggetto che ho realizzato su un muro su cui hanno partecipato anche Jerico e Solo.
È la prima volta che esponi da Up – Urban Prospective Factory? Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sì, è l prima volta da Up ed è una bellissima esperienza: c’è molta condivisione e la libertà espressiva lasciata agli artisti è ampia. Nel prossimo futuro vorrei continuare il percorso pittorico e riprendere lo spray, strumento che amo, soprattutto sul grande formato, e che adopero tuttora su tela.
Bad Claudine
Ciao Claudia, bentornata da Up! Per chi non ha avuto l’occasione di conoscerti, come presenteresti te e la tua arte?
Ciao! Sono nata a Roma, ho studiato all’Accademia di Belle Arti e sono una tatuatrice. Dal 2019 ho iniziato a fare disegni per esprimermi, parlano di sentimenti e dunque l’associazione col tema dell’amore è venuta spontaneamente.
Come hanno influenzato l’arte del tatuaggio e, in generale, il tuo studio la tua produzione su carta?
Mi ha influenzato nella scelta dei soggetti, principalmente mostri e cuori. L’incrocio di immagini, poi, genera significato. Il Surrealismo è il mio movimento artistico preferito ma sono più vicina al Pop Surrealismo, penso ad esempio a Marc Ryden. Come supporto scelgo la carta da spolvero che ci facevano adoperare in Accademia per gli schizzi e che ho sperimentato essere funzionale anche per schizzi con la penna: ne risulta quasi un diario di pensieri su carta. Per i disegni del tipo di quelli esposti oggi uso solo la penna bic ma in generale mi piace anche l’acrilico su tela e il pantone.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sicuramente continuare a dipingere e a realizzare questi disegni che hanno dalla loro la velocità d’esecuzione. Mi piacerebbe iniziare ad esporre anche i miei quadri, Lo stile è lo stesso dei disegni, cambia la tecnica ma i contenuti sono riproposti in tutte le fasi del loro percorso evolutivo.
Dunque, cos’è l’amore? Un’infinità di sensazioni, di modi di vivere e di essere liberi. Grazie ai nostri artisti che ci hanno dedicato parte del loro tempo e regalato un’esposizione piena di sorprese.
Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it
Progetto a cura di Marta Di Meglio