Intervista a Pierre David Cavallari

In occasione del vernissage di “Christmas Up”

04-27/12/2022

Se da un punto di vista teorico è piuttosto semplice definire cosa sia la periferia e cosa il centro di un città, più complesso è rapportare questa distinzione alla realtà urbana: può un luogo geograficamente vicino al centro essere al contempo periferico? L’anima della città, la sua essenza, vive nei contesti urbani noti ai più o permea le strade meno illuminate dalle insegne dei negozi e dai flash dei turisti?

Ce lo ha spiegato bene Pierre David Cavallari in occasione del vernissage di “Christmas Up”. 

Ciao Pierre David, come presenteresti la tua persona e la tua attività artistica?

Ciao! Sono un artista di origini francesi da parte materna ma vivo a Roma da sempre. Sono un architetto e ciò si riflette nei miei lavori: mi dedico alla pittura, in particolare al disegno e allo schizzo architettonico, mezzi espressivi ai quali sono arrivato dopo varie esperienze e sperimentazioni. Il percorso pittorico che ho intrapreso è incentrato sulla rappresentazione di luoghi della città di Roma: non si tratta però di vedute note, bensì delle realtà urbane meno conosciute della Capitale, o meno canoniche. Mi riferisco alle periferie ma anche ai luoghi di attraversamento, cioè a tutti quegli snodi che spesso sono vissuti dalla maggior parte dei cittadini, noi compresi, ma che molto poco frequentemente sono stati oggetto di rappresentazione: il quartiere San Lorenzo, a cui sono legato e a cui dedico molti lavori, ne è un esempio.

Ho notato che spesso negli scorci che raffiguri dai molta importanza ai graffiti presenti sui muri, soprattutto ai tag: come mai?

È vero: penso che i soggetti urbani che scelgo di ritrarre, dunque periferie o zone di attraversamento e di raccordo tra aree cittadine diverse, siano i “veri” luoghi della città. Oggi molti quartieri sono stati profondamente modificati da un processo di gentrificazione che ne ha mutato l’essenza rendendoli luoghi meno rappresentativi dell’anima della città, della vita di cui in passato erano protagonisti e delle abitudini dei loro abitanti originari di cui rimane un numero ormai esiguo: i tag sono l’espressione di questa vita, di quel fermento artistico vero che nasce da un bisogno espressivo non mediato. Sono diversi dai murales nati da iniziative istituzionali, che comunque riproduco nelle mie opere ma che, potremmo dire, non nascono spontaneamente, ferma restando la loro importanza da un punto di vista di riqualificazione urbana.

Uno dei soggetti a cui rivolgi spesso attenzione è la Tangenziale Est: perché?

Molti di noi che “vivono in città” abitano, per diverse ragioni, in quartieri e in zone non del tutto rappresentative dell’identità storica della Capitale, eppure passiamo quotidianamente in luoghi come le tangenziali ma senza prestare attenzione alla loro geografia, vivendoli come raccordi privi di una propria identità. Molte persone rimangono sorprese dal fatto che io elevi a soggetto dalle mie opere un luogo come la Tangenziale Est, non raramente mi viene detto “Qui ci passo ogni giorno!”: ciò crea un senso di appartenenza a quel “non luogo” che viene così visto sotto una nuova luce, quella di un ambiente familiare.

Questo processo può avvenire anche per luoghi già di per sé riconosciuti come degni di attenzione? Penso alla passeggiata che costeggia il Circo Massimo, altro soggetto di alcune tue opere.

Sì, è possibile risemantizzare anche luoghi già storicizzati: io attraverso, in macchina spesso, i luoghi che ritraggo e li restituisco sotto il punto di vista della città attraversata, vissuta, quindi riproducendoli con tutto ciò che una visione artisticamente convenzionale tenderebbe ad eliminare: tag, cassonetti rotti, cartelli stradali, campane per la raccolta differenziata del vetro, tutti quegli elementi accanto a cui ciascuno di noi passa, che tutti vediamo, ma che non ci si ferma ad osservare. È una poetica dal basso quella alla base del mio processo creativo: mentre attraverso il luogo lo ritraggo, non parto col dire “Facciamo una veduta del Pincio”, ad esempio, cioè scegliendo un soggetto già definito e visto staticamente. Rappresento tutto ciò che c’è attorno al soggetto, monumento o strada che sia, e che pur esulando da tradizionale concetto di “bello” ricopre un’importanza fondamentale nella descrizione dell’essenza del soggetto principale.

La scelta dell’acquerello dipende da questo tuo modus operandi?

Sì, ho adottato la tecnica dell’acquerello perché mi permette di lavorare con una certa velocità: inizialmente realizzo uno sketchwork a china o a matita, uno schizzo realizzato sul posto la cui estemporaneità mi permette di rimanere fedele all’impressione che mi ha dato il passaggio nel luogo scelto. Lo schizzo avviene dunque en plen air, o al massimo in macchina, di fronte al soggetto che mi ha ispirato. Ultimamente ho fatto anche ricorso allo strumento fotografico: catturo l’immagine che mi interessa e lavoro su essa appena tornato a casa, in studio. Amo l’acquerello anche perché mi riporta al mondo del fumetto, genere di cui sono da sempre appassionato. A differenza delle tecniche pittoriche quali acrilico o olio l’acquerello mi permette di essere veloce ed immediato nella rappresentazione.

C’è sempre una componente architettonica nelle tue opere e nella loro realizzazione, dunque.

L’approccio è sempre architettonico, sia per la fase di “urban sketchiung” sia nell’elaborazione dei soggetti: nelle mie opere non compaiono mai esseri umani, pur trattandosi di luoghi della città. È una narrazione metafisica, il disegno racconta solo gli spazi, le architetture, il contesto urbano: le uniche presenze umane, per così dire, sono tag e murales, è come se i luoghi fossero collocati in un futuro distopico in cui la presenza del’uomo è ravvisabile solo nelle tracce da lui stesso lasciate.

Non è la prima volta che esponi le tue opere presso Up Urban Prospetive Factory: com’è lavorare a contatto con la realtà della galleria?

È un’esperienza molto positiva: Marta di Meglio, la gallerista, si distingue per la grande libertà espressiva che lascia agli artisti e per la centralità che riserva al rapporto umano, con gli artisti e col pubblico. Penso che la volontà di divulgare e di rendere accessibili esperienze artistiche ad un pubblico più vasto ed eterogeneo possibile sia il vero punto di forza della galleria, soprattutto per la sua capacità di accostare artisti già affermati a nomi emergenti.

Grazie Pierre David!

Di nulla, grazie a voi!

Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it