Intervista a Flavio Solo

In occasione del vernissage di “Christmas Up”

04-27/12/2022

Se la realtà in cui viviamo è poliedrica e multiforme, armonia di linguaggi che sembrano sfiorarsi senza mai incontrarsi, è altrettanto vero che l’essere umano ne è la costante, quello che siamo e  ciò che eravamo: artefice e protagonista del divenire, le sue tracce ci raccontano una storia che confluisce nel presente e si tuffa nel futuro senza, di fatto, soluzione di continuità. Sta a noi saper leggere questo racconto per coglierne le costanti  e le evoluzioni comprendendo, così, noi stessi.

Ne abbiamo parlato con Flavio Solo, veterano dell’arte contemporanea e della street art romane e non solo.

Ciao Flavio, grazie per la tua disponibilità. Ci racconteresti le fasi iniziali del tuo percorso artistico?

Ciao, grazie a voi! È una storia piuttosto lunga: sono classe ’82 e in oltre vent’anni di attività  ho avuto la possibilità di assistere a vari cambiamenti. Ma andiamo con ordine: la mia storia inizia grazie ai graffiti, avevo quattordici anni. Nell’era pre-internet tutto era analogico e il lettering non faceva eccezione: sono stato subito affascinato dall’idea di uscire di notte,  di esser parte di una crew e di crescere con essa. Dopo il liceo mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Roma e il mio focus si è allargato iniziando a contemplare, oltre ai graffiti, anche il linguaggio figurativo e tutte quelle tecniche pittoriche più tradizionali. Alla fine del mio percorso accademico, nel 2008, ho unito i due mondi della mia formazione: cercavo di applicare nel dipingere sui muri tutto ciò che avevo imparato in Accademia. Il mio pennello era sempre la vecchia cara bomboletta, ciò che cambiava era la mia ricerca sulla figura, sul colore, sull’organizzazione dell’opera.

E i supereroi quando sono arrivati?

Proprio questa nuova discesa in strada mi ha portato ad interrogarmi sul soggetto che volevo presentare al pubblico: la mia passione era fin dall’infanzia il mondo dei supereroi e quando mi sono chiesto cosa a me avrebbe fatto piacere vedere nella mia città, passeggiando o muovendomi mediante i mezzi pubblici, la risposta è stata spontanea. I supereroi sono da sempre ciò che mi dà forza. Credo fermamente che sia importante interrogarsi sempre su quello che si sta facendo e così, sviscerando il mondo del fumetto, ho elaborato soggetti e realizzato opere grazie alle quali ho partecipato a mostre, progetti e alla realizzazione di muri in giro per il mondo. Non sono mancate, ovviamente, le collaborazioni, sia quelle con realtà underground – una fra tutte quella con Respect Project, con cui realizziamo capi di abbigliamento e adesivi – sia quelle con brand internazionali. Tra queste ultime ricordo quella con Valentino, per il quale ho curato una capsule a tema supereroi, e quella con Louis Vuitton per una serie di bauli. Da un decennio collaboro con Diamond: insieme abbiamo realizzato muri a quattro mani con un soggetto unico o divisi in due parti tali da costituire un’ unica opera. Il nostro studio è a Roma presso il Villaggio globale, nell’area dell’ex Mattatoio di Testaccio.

Si può dire che nella tua attività hai vissuto la nascita della “street art”, ossia il passaggio in superficie di molti fenomeni originariamente anticonvenzionali: cosa puoi dirci a riguardo?

In realtà la street art è sempre esistita, a cambiare sono state la percezione da parte del pubblico, delle istituzioni e delle gallerie nei confronti di essa. Mi emoziona sempre pensare che, a ben vedere, la prima forma d’arte dell’uomo era street art: dopo più di  40˙000 anni siamo tornati a scrivere sui muri. E c’è di più, l’ “opera prima” dell’essere umano è stata l’impronta di una sua mano: è a tutti gli effetti uno stencil ante litteram, la stessa tecnica che usiamo ancora oggi. Su un muro, peraltro, anche se di una caverna. Dunque quello che noi chiamiamo “street art” è sempre esistito, sebbene a livello concettuale la categoria si sia affermata nei primi anni 2000 grazie a giganti come Banksy e Obey. Un altro spunto di riflessione importante, a mio parere, è suggerito dal fatto che la street art è cresciuta alla stessa velocità dei social network che permettono di far arrivare le opere nelle tasche di tutti. Banksy è lo street artist più conosciuto al mondo, la sua pagina ha milioni di follower ma pochissimi hanno visto una sua opera dal vivo: la definizione di “street art” nei primi anni 2000 è sorella della diffusione delle piattaforme sociali, dai primi MySpace e Facebook al più contemporaneo Instagram, la cui centralità dell’immagine ha rappresentato l’apoteosi di questo processo. Questo, e non è un caso, è avvenuto a livello mondiale.

Dunque potremmo concludere che, mutatis mutandis, le esigenze espressive dell’uomo sono rimaste immutate?

Sì, il fatto che dopo millenni usiamo la stessa tecnica artistica la dice lunga sull’esigenza dell’uomo di esprimersi e di fare arte. È un impulso rimasto immutato nei secoli, oggi come ieri l’uomo ha la necessità di dire “Io ci sono” e di lasciare testimonianza del proprio passaggio. Potremmo estendere il discorso ai tag. Molte persone distinguono tra murales e tag, considerando opere d’arte i primi e scarabocchi i secondi: in realtà senza i graffiti non avremmo oggi la street art, i tag sono un passaggio fondamentale, oltre ad avere un intrinseco valore artistico. Il punto fondamentale è comprendere che spesso elementi molto diversi tra di loro sono uniti da un fil rouge che ad un occhio attento ed appassionato non passa inosservato: nulla nasce senza evolversi da ciò che lo precede.

Potremmo estendere la prospettiva arrivando a contemplare anche il mondo della pubblicità?

Certamente, in molti hanno ripreso componenti dal mondo dei graffiti, basta pensare ad esempio che fino a poco tempo fa non c’erano pubblicità nei treni della metropolitana: quando i writer hanno capito che quello era un punto su cui lo sguardo dei passeggeri si posava hanno cominciato ad utilizzarlo. Discorso analogo per gli esterni: nessuno wrappava i treni o i tram fino al momento in cui i writer hanno capito che era un mezzo che avrebbe portato il loro nome in tutta la città e dunque la pubblicità si è appropriata di questa forma espressiva. I writer, potremmo concludere, sono stati geni del marketing. Comprendere che questi due mondi, apparentemente distanti ed opposti sono in realtà strettamente connessi presuppone un atteggiamento di passione ed umiltà che ci faccia andare oltre banalizzanti giudizi estetici del tipo “Questo è bello, quello è brutto”. Poi ci sono writer che preferiscono continuare coi graffiti, altri, me per esempio, che approdano ad altre forme per veicolare ciò che hanno dentro: nel mio caso i supereroi assolvono alla stessa funzione dei graffiti, sono le mie lettere, il mio alfabeto.

Chiarissimo, grazie Flavio!

Grazie a voi!

Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it