Intervista a Fabrizio Antonio Ibba

In occasione dell’opening di “Euforica Alchimia”

In un presente denso di sovrastrutture, che ha fatto della vita associata una trama di segni e simboli tra i quali è spesso difficile districarsi, nulla è più complesso dell’essenzialità. Il ritorno alle origini, a quegli archetipi dell’inconscio collettivo che tutti ci portiamo dentro ma che stentiamo a riconoscere, è un compito assai arduo, una missione a cui noi tutti siamo chiamati pur se inconsapevoli di essa. È una sconfitta in partenza? Non necessariamente, e l’arte può indicarci la via nel viaggio in questa personale selva interiore. Fabrizio Antonio Ibba ci ha spiegato come, in occasione dell’apertura della sua personale “Euforica Alchimia”.

Ciao Fabrizio, ci racconteresti qualcosa di te e del tuo linguaggio artistico?

Ciao! Sono Fabrizio Antonio Ibba, ho 56 anni e opero in Sardegna. Prediligo per le mie opere la carta e la tela,  anche se a volte utilizzo anche il legno. È su carta però che amo prevalentemente lavorare: la mia tecnica preferita è l’acrilico, che mescolo con lo smalto. Utilizzo anche pigmenti, acquerelli e altre tecniche: cerco di adattare la tecnica ai temi che intendo trattare nell’opera. Questi sono principalmente di natura alchemica ed esoterica, lavoro molto con i simboli. Il risultato finale è spesso astratto ma ciò non esclude esiti con una base figurativa. Uso molto i colori alchemici per eccellenza: nero, bianco e rosso, quindi negreido, albeido e rubeido, e i colori primari, rosso giallo e blu. Dalla mescolanza, quasi alchemica, di essi ottengo un risultato che è importante che sia anche formale: l’impulsività derivante dall’ispirazione, da cui prende avvio l’opera, è cioè equilibrata dalla parte razionale che interviene in una fase successiva. In questo modo le due componenti trovano un equilibrio: la razionalità dà forma all’impulso irrazionale.

Chiarissimo! Questa energia creativa ha avuto degli sviluppi nel tempo?

Gli anni passano  ma l’energia non diminuisce, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare: mi sento rinvigorito poiché nel corso del tempo ho compiuto un percorso interiore che mi ha fortificato. È questa l’energia che voglio donare agli altri, intendo restituire ciò che mi hanno donato i miei maestri. Lo strumento attraverso cui farlo è quello artistico, accompagnato dalla componente esoterica: l’arte è il linguaggio che ho trovato per parlare di argomenti esoterici, cioè nascosti, di cui cioè non si dovrebbe parlare. Non si tratta di indagare tabù, ma contenuti destinati a pochi iniziati: questo, etimologicamente, indicherebbe il termine “esoterismo”. La differenza è che io voglio rendere partecipe di ciò il grande pubblico e per farlo mi ispiro agli operai che costruivano le chiese gotiche, sebbene io produca delle opere bidimensionali, vicine alla pittura potremmo dire, e non tridimensionali. Dono agli altri le mie opere che  spero possano aiutare le persone a compiere quel percorso interiore che per me ha rappresentato e rappresenta molto.

La tua formazione da architetto ha influito nell’elaborazione del tuo linguaggio artistico?

Sicuramente: io ho frequentato il Liceo artistico, indirizzo architettonico, e poi il corso di Architettura d’interni presso l’Istituto europeo di design di Cagliari. La formazione architettonica rientra nel paragone che facevamo con la costruzione delle chiese gotiche. Ad esse concorreva ill Maestro, il Compagno d’arte ad un grado inferiore, e infine l’Apprendista: era un lavoro operativo, che nel tempo si è poi trasformato in speculativo. Il lavoro dell’alchimista è molto vicino: era un’attività speculativa ma anche operativa, essendo diretta alla realizzazione della pietra filosofale, che non consisteva solo nel risultato della trasformazione di materia grezza in oro ma anche, dunque, della materia interiore e spirituale in qualcosa di migliore. Ciò presuppone una formazione che consiste nella conoscenza di sé stessi. Io sto cercando di trasformare in materia, in oro, tutto questo lavoro fatto su di me e infatti proprio l’oro è presente in alcuni pezzi delle mie opere.

Dunque dare forma ad un processo interiore che consiste di fatto nel ritorno alla propria essenzialità.

 Sì, è così: molte persone si sono allontanate, ad esempio, dal sole, dalla luna, dalla natura, dal mare, nel senso che oggi parlare di questi elementi naturali sembra riferirsi necessariamente a qualcosa di esoterico e di mistico. Invece sono i simboli più semplici della vita, sono la radice dell’essere umano, ciò da cui noi abbiamo dato inizio alla nostra storia. Il simbolo, l’archetipo, è questo: è vita, è essenzialità, normalità direi, e io cerco di scavare in me per trovarla e per restituirla agli altri, con l’arte e con le opere. Esse per natura sono mute ma io cerco di dare loro voce, è questa la mia missione, perché permettono allo spettatore di leggersi dentro. È questo il lavoro dell’esoterista, paradossalmente: fare silenzio.

Davvero affascinante! Grazie Fabrizio per averci dedicato il tuo tempo.

Grazie a voi, alla prossima!

Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it