INTERVISTA A SILVIA FIORENZA
Aristotele riteneva che la partecipazione empatica dello spettatore alle vicende rappresentate a teatro avesse l’effetto di liberarlo da quelle passioni della sua anima corrispondenti alle emozioni evocate in scena, conducendolo ad una forma di rasserenamento e di calma interiore. Ne è passato di tempo, ma del concetto di “catarsi” (“purificazione”, letteralmente), siamo, per fortuna, ancora ben coscienti: la funzione liberatrice dell’arte è una preziosa conquista del genere umano e le creazioni di Silvia Fiorenza ce lo ricordano.
Ciao Silvia, grazie per il tempo che ci dedichi. Ti andrebbe di descriverci il tuo percorso artistico?
Certamente! Fin da piccolissima sono sempre stata affascinata dal disegno: creavo figure sul pavimento a casa o a scuola generando lo stupore dei miei genitori e delle maestre. Alle scuole medie realizzavo i pannelli per le recite e, spronata dalla professoressa di Arte e immagine, mi sono iscritta al Liceo artistico, corso quinquennale. Sono arrivati poi gli anni dell’Accademia delle Belle Arti, i più belli in assoluto, da cui ho appreso moltissime tecniche alle quali voglio rendere omaggio con la mostra di oggi [“Accademia”, presso Up – Urban Prospective Factory, dal 26 marzo 2022 al 10 aprile 2022]: pastelli a olio, acquerelli, acrilici. Lì ho conosciuto anche moltissimi artisti con i quali sono cresciuta. Dopo la laurea in scenografia e un master in design conseguito presso lo IED, mi sono specializzata sugli accessori moda e ho lavorato a Milano, in Spagna per aziende come Zara e poi qui in Italia dove ho iniziato con uno stage presso Fendi. Ho lavorato come designer per molto tempo ma ogni sera, tornata a casa dal lavoro, dipingevo. Era la mia passione e mi adattavo alle condizioni del momento: quando avevo solo gli smalti per le unghie usavo quelli, quando a Milano vivevo in una casa piccola realizzavo disegni piccoli. Vicende varie mi hanno poi portato a Roma, nel 2013, e qui ho iniziato a sperimentare “in grande”. Avevo già partecipato a concorsi e a mostre collettive e iniziavo ad esporre i miei quadri a casa come pezzi di arredamento: fu in quel periodo che gli amici mi cominciarono a chiedere di realizzare per loro dei quadri e mi spronavano a farli conoscer al mondo. Da qui ho aperto la mia pagina Instagram e ho iniziato a presentarmi alle gallerie: avrei sempre voluto fare l’artista e stava accadendo davvero.
A livello tematico come vanno lette le tue opere?
Io dico che bisogna “trasformare il dolore nel colore”: la pittura e l’arte sono sempre state una terapia per me, strumenti per metabolizzare varie esperienze negative che mi ha aiutato a trovare serenità e felicità. L’esporre le mie opere e il poter avere a che fare con le gallerie è per me una gioia e i colori sono nel mio linguaggio la manifestazione tangibile della felicità di fare ciò che ho sempre desiderato, la possibilità di trasformare il dolore in bellezza. Quando dipingo, ad esempio, se sto vivendo un periodo di depressione, prediligo colori accesissimi per trasformare il mio stato d’animo in qualcosa di diverso: è una catarsi, e in ciò mi aiuta il cambiare colore. Dipingere è terapeutico, un modo per infondermi gioia: è una terapia per me e spero che sia lo stesso anche per chi vede le mie opere. In “Accademia” ho voluto mettere in luce ciò: sono esposti, ad esempio, due quadri con base nera dal fondo dei quali emerge una luce. Indicano tale passaggio, l’uscita dal buio e l’arrivo alla luce, percorso il cui punto di arrivo sono le grandi istallazioni…
…argomento della prossima domanda: il 3D è parte di questa ricerca?
Sì, la tela è un limite per me e ho sempre sentito l’esigenza di voler trasformare tutto questo in qualcosa di tridimensionale. Un esempio è l’opera esposta qui ad “Accademia”, intitolata “Big Bang”: in Accademia il professore una volta ci chiese di creare qualcosa che fosse più forte della caduta delle Torri Gemelle (era il 2001): fu per me un motivo ispiratore, volevo fare quello ed oggi, dopo anni di esperienze personali, ho voluto ricrearlo.
E secondo noi ci sei riuscita magistralmente. Grazie davvero!
A voi!
Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it