INTERVISTA A WRITER WARS
Apertura della mostra collettiva “N53” – 08/01/2022
A Roma la notte ha mille volti: c’è un po’ di malinconia, un che di mistero, degli sprazzi di sensualità e delle note di delicatezza. E poi c’è il passo silenzioso di ciascuno di noi, che si muove tra muri che raccontano storie in cui ritrovarsi o magari perdersi: tutte queste narrazioni si sono eccezionalmente date appuntamento ad Up – Urban Prospective factory, per farsi scoprire dal pubblico, tutte insieme, tra buon vino e volti amici. Ad accompagnare i passeggeri nel viaggio, il bus notturno “N53”.
L’atmosfera è accogliente, il clima è perfetto (e siamo a gennaio) e loro sono gentilissimi: Jesus T.T. raduna il gruppo e Za.tox lo presenta, attorno c’è chi commenta compiaciuto le opere appena visionate e chi ascolta incuriosito.
Ciao a tutti ragazzi, e grazie per la disponibilità! Ci spiegate cos’è Writer Wars? Come nasce tutto?
Za.tox: Fermo, ecco il colpevole!
E porge il telefono: in videochiamata c’è Ivan Fornari, ideatore del progetto sin dal lontano 2011, assente causa Covid-19.
Ivan Fornari: “Writer Wars” nasce come evento, poi trasformatosi in qualcosa di più grande. Era un progetto di contest a premi per artisti, art battle, con un bel lavoro di talent scouting dietro. Il punto di forza è sempre stato la diversità dei componenti, la contaminazione, la pluralità di generi: ci sono artisti di ogni tipo e le influenze si mischiano. Il gruppo si evolve negli anni e questa di stasera è la formazione attuale.
In questa mostra il tema della notte è connesso agli eventi che organizziamo: siamo legati al mondo dei club, le discoteche ci ospitano per le nostre jam che non hanno mai una sede fissa ma sono itineranti. La locatiom è mobile ma la notte, connaturata alla street art, è sempre protagonista.
Ciao a tutti rega’! (Ridiamo)
Grazie, chiarissimo. Allora non ci resta che conoscervi ad uno ad uno.
Hos: Io sono Hos, parola che in slang americano vale “peripatetiche”: non è colpa mia, è un tag che ho scelto all’età di dodici anni ma “nomen omen” perché ora raffiguro nudi femminili stilizzati. Il mio ambiente di provenienza è quello della grafica. All’inizio della mia attività ero interessato all’anatomia umana, compravo riviste di body building per approfondire lo studio del corpo umano. Poi ho scoperto la linea, è come la corda di una chitarra tesa che se mossa inizia a suonare: il corpo della donna si presta ad essere stilizzato secondo questa linea. Raffiguro soprattutto donne per dare importanza alla parte femminile che è in noi e che spesso viene repressa nella nostra società maschilista. Mentre le donne di Za sono vigorose, energiche e sexy, le mie si mostrano nascondendosi, come se ciascuna fosse una venere che senz’armi viene rispettata: la bellezza è l’arma più forte. Lo sfondo a mattoncini richiama invece la notte e i sanpietrini delle strade di Roma.
Za.tox: Piacere, sono Za, rappresento la parte femminile del gruppo e sono mie le raffigurazioni più urbane della donna. Condivido con Hos la tematica della femminilità spesso repressa nella società odierna e il pezzo che ho esposto cerca di renderle giustizia: le scarpe rosse richiamano subito alla necessità della sensibilizzazione sul rispetto della donna
Pier The Rain: Io invece sono Pier The Rain,“Er pioggia”, raffiguro volti e mi dedico anche a commissioni di street art a Roma. Realizzo spesso produzioni istantanee su cartone, sono per me una forma di ricerca interiore: tengo molto a curare lo sguardo, è la fonte di espressività per eccellenza e in questo mi ritrovo molto con lo stile figurativo di Pinovolpino.
Kentblack: Ora tocca a me! Ho iniziato come writer e illustratore, oggi sono anche tatuatore: le mie influenze sono il pop-surrealismo, i graffiti e più in generale la street art nel suo complesso. Prediligo i blackwork, lavori neri, e concepisco la street art come una forma di esplorazione delle sensazioni che evoca il dipingere notturno, non a caso il mio animale totem è il pipistrello, sintesi di tutto ciò.
Tirchio: background di grafica e illustrazione, le mie opere si muovono in un’alternanza tra semirealismo e geroglifici, dunque scrittura astratta. Sono Tirchio e il mio stile ha tra le fonti di ispirazione Hoek, Gojo – realizzo puppets – e Kent, qui presente, che mi ha insegnato molto. Faccio parte da quattro o cinque mesi di Writer Wars, insieme a lui…
Er Buio: …insieme a me. Sono Er Buio e compongo poesie, su carta e da due anni e mezzo sui muri. Scrivere versi è una valvola di sfogo, aiuta a liberarsi dai problemi. Il mio nome deriva da questo: è il buio stesso a scrivere. Tra i miei padri spirituali ci sono sicuramente i Poeti der trullo: loro sono stati i primi a fare “street poetry” ed è anche grazie a loro se mi sono avvicinato a questo modo. Altre influenze sono sicuramente i poeti romani della tradizione, da Trilussa a Belli, ma anche la poesia non in dialetto come quella di Mário de Sá-Carneiro.
Concordo, la poesia è forse la forma di scrittura più intimista che esista, eppure è spesso vista come una forma d’arte elitaria e difficile da comprendere: che ne pensi?
Er Buio: Sì, è vero, e penso che sia effettivamente difficile da esprimere: anche per me spostarmi sui muri non è stato facile, le poesie che ho scritto su carta le ho fatte leggere solo a me stesso! Ma scriverle sui muri ti libera: è bello che la gente ci si rispecchi ma comporre rimane per me togliermi un peso, un’esigenza intima e personale.
Jesus Tifa Toro: Il mio rapporto col collettivo è ben sintetizzato da recenti vicende: preparare questa mostra in tempi di covid non è stato facile ma c’eravamo comunque tutti, anche se a distanza, e sempre si è trovato un punto d’incontro. Un esempio: volevamo realizzare una scenografia in cartonato, essendo sensibili al tema del riciclo, ma come farlo in una galleria e in breve tempo? Sono stati fondamentali l’affidarsi di ciascuno all’altro e la condivisione: Ognuno ha prodotto opere che ritrovavano la strada comune costruendo un unico percorso.
E si nota, l’armonia che c’è stasera tra di voi è tangibile. Vuoi dirci qualche parola in più sulla tua arte?
Certamente: il mio nome deriva dalla mia somiglianza con l’iconografia tradizionale di Gesù che tutti mi hanno sempre fatto scherzosamente notare unita al fatto che la tragedia del “Grande Torino” ha sempre suscitato in me un sentimento di estrema pietà e sgomento. Ma c’è do più: sono sempre stato appassionato di arte e di iconografia sacra, che a Roma si trova ovunque. Mi colpisce il sentimento di religiosità popolare, non per forza legato alla Dottrina o alla fede seppur mantenuto viva dalla Chiesa e non solo.
I pezzi qui esposti sono in bianco nero, nella Santa muerte c’è il mio tradizionale sticker a colori e la Vergine di Norimberga, strumento di tortura che richiama “Cronache di Norimberga”, libro che ricorda molti martiri. Al posto dei fiori c’è un peperoncino secco, e nel retro della lattina di birra che ha “Norimberga” nel nome c’è un puppet, immagine contemporanea della morte, ossia la faccia da Scream. Il nero dell’opera rappresenta la morte, il bianco è invece la necessità di ritrovare un gesto: la semplicità della pennellata, la stessa arte in cartapesta e in bianco-nero, colori del negativo.
Le falene medievali, soggetto degli altri pezzi, derivano invece dai bestiari medievali: queste figure mi hanno cresciuto nel mio percorso presso il “Pollution tattoo” di San Cesareo (RM) e si trovano ancora nel repertorio dello studio. I lampioni attorno a cui esse volano ricordano le tipiche illuminazioni stile art nouveau in ferro, materiale che assieme al rame e all’ottone appartengono all’arte sacra.
Ragazzi, grazie di cuore!
L’idea di crescita individuale a partire dalla contaminazione e dal confronto con gli altri è quanto di più fecondo ci si possa augurare in campo artistico: Writer Wars ci insegna questo e ci fa ben sperare per il futuro della street art romana essendo i membri del collettivo tutti giovani o giovanissimi.
Sta per albeggiare, il notturno si è fermato ed è ora di scendere: alla prossima jam.
Intervista di Luigi Costigliola – luigicostigliola@yahoo.it
Esposizione collettiva a cura di Ivan Fornari con la collaborazione di Marta Di Meglio